UN FANTASMA O UN CORPO GLORIOSO? (Lc. 24,35-48)
I discepoli sono ancora alle
prese con il difficile compito di riconoscere il Risorto, dopo il dramma e i
traumi causati dalla crocifissione e sepoltura di Gesù il nazareno. I
sentimenti più forti presenti nel cuore dei discepoli sono il dolore, lo
sconforto, la paura e i dubbi circa i segni e gli avvenimenti che attestano in
modo evidente e chiaro la risurrezione del Crocifisso. Come domenica scorsa con
Tommaso che aveva chiesto di poter vedere e toccare il Risorto, anche oggi, è
lo stesso Gesù risorto ad esibire le prove concrete della sua risurrezione: “Perché
siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e
i miei piedi: sono proprio io!” Infatti i discepoli, dopo che Gesù
risorto era apparso loro nuovamente, credevano di aver visto un fantasma, ma il
Risorto ribadisce: “Toccatemi e guardate, un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che
io ho”. Il corpo, mani e piedi, ricorda loro l’esperienza vissuta lungo
le strade della Palestina, le persone incontrate e guarite, ricorda il dolore
della morte, dove mani e piedi di Gesù furono inchiodati sulla croce. Mani e
piedi piagati, ora trasfigurati dalla risurrezione, non sono più segni di
violenza e di odio, di fallimento e di morte, ma parlano di perdono e di pace,
di un inizio nuovo e di una vita che sta per cominciare. E’ Gesù stesso che non
si sottrae alla necessità di dare prove concrete e tangibili della sua
risurrezione, infatti, insiste su questa linea quando chiede ai discepoli da
mangiare: “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo
mangiò davanti a loro”. Luca ama presentare Gesù seduto a tavola in
contesti diversi, con i farisei, con i pubblicani, con i suoi discepoli: la
mensa diventa il luogo del riconoscimento. Mangiare insieme è riconoscersi
famiglia, è condividere la vita. Per i discepoli mangiare con il Risorto
ricorda, inoltre, l’ultimo pasto condiviso con Gesù, dove il Maestro si è fatto
pane e vino, ha donato la propria vita e la propria morte in un gesto d’amore
senza limiti. L’Eucaristia, che Gesù ha istituito in quell’ultima cena, diventa
il luogo ideale, dove poter riconoscere il Risorto e dove la Parola può essere
facilmente compresa: “Allora aprì loro la mente per comprendere
le Scritture”. Ma la Parola deve essere vissuta, incarnata. Questo
richiede una comunione di vita con Gesù, camminare con lui per lasciarsi
trasformare nella mentalità, nello stile di vita, nei criteri di giudizio,
nella scala di valori. Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua
immagine!
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